Fino a che punto l’ambiente nel quale cresciamo può condizionare la nostra vita?
Ci sono molti modi per scoprire un luogo che non si conosce.Proviamo a pensare, per esempio, a una casa. Possiamo entrarci con fare curioso, osservandone gli oggetti, i colori, i mobili. Cercando di associare la personalità degli abitanti agli elementi d’arredo. Oppure potremmo varcarne la soglia con l’istinto naturale di chi osserva e valuta: questo è bello, questo non mi piace, questo mobile non c’entra nulla, questo tessuto è una meraviglia… Ma potremmo pure entrarci in modo distratto, come se l’ambiente attorno a noi fosse qualcosa che non ci riguarda, senza attardarci nell’analisi di quello che può essere il contesto abitativo.
Cos’è il contesto abitativo?
Pensiamo alla casa dove abbiamo trascorso i nostri primi anni di vita. Ritagliamoci qualche minuto per tornare indietro nel tempo e riassaporare la bellezza di quel periodo spensierato. Ritorniamo all’ambiente nel quale siamo cresciuti. Cosa ricordiamo? Alcuni eventi, alcune persone, magari i nostri genitori e i nostri fratelli.In una casa sono racchiuse una quantità incredibile di informazioni. Possiamo chiamare questo insieme di informazioni in tanti modi, e uno di questi è appunto contesto abitativo. Il contesto abitativo, nella mia mente, assume una caratteristica molto dinamica e fluida, non statica come quella che potremmo, istintivamente, associare al termine casa. Già con questo semplice esercizio è interessante vedere quante, delle cose che possono esserci venute in mente, alcune appartengano al mondo tangibile, ma molte altre derivino dal mondo emotivo e altre ancora da quello relazionale.Proviamo ad elencare alcuni elementi fondamentali di questo particolare contesto abitativo, e cioè la casa dove siamo cresciuti, iniziando da quelli tangibili.
Potrebbero essere, ad esempio:
- Il luogo, inteso come edificio, spazio
- Le persone
- Gli oggetti e gli arredi
- I materiali
- Le luci
Passiamo ora agli elementi intangibili:
- Le parole che abbiamo ascoltato
- Le emozioni che abbiamo provato
- Gli eventi a cui abbiamo assistito
- I pensieri che abbiamo avuto
- I pensieri che gli altri hanno avuto di noi…
Se vi dicessi che, il contesto abitativo natale, potrebbe averci condizionato molto più di quanto siamo soliti immaginare, mi credereste? È scontato pensare che la nostra famiglia d’origine abbia influenzato la nostra vita, nel bene e nel male. Ma fino a che punto le parole dei nostri genitori, le loro abitudini e regole, sono diventate le nostre abitudini? Quanto, le convinzioni dei nostri genitori, sono diventate anche le nostre convinzioni? Pensiamo agli oggetti della casa d’infanzia che abbiamo accolto nella nostra casa attuale, come un’ancora emotiva dal valore enorme. Essi, tutti i giorni, comunicano con noi in modo importante non solo sul piano visivo, ma soprattutto sul piano emotivo, raccontandoci chi siamo, da dove veniamo, e facendoci riaffiorare, magari inconsciamente, quella parte iniziale della nostra vita.Viene spontaneo domandarsi, allora, fino a che punto il contesto abitativo nel quale siamo cresciuti può averci portato ad essere le persone che siamo. La risposta a questa domanda richiederebbe però pagine e pagine. Ritengo comunque importante fare un accenno a una disciplina che ha saputo dare tante risposte alle mie molte domande. Si tratta del mondo dell’epigenetica, la scienza che studia come l’ambiente (inteso in senso assai ampio) impatti sulla nostra genetica.

Epigenetica e contesto abitativo natale
Il più grande divulgatore di questa disciplina è Bruce H. Lipton, biologo cellulare di fama mondiale ed autore del best seller “La biologia delle credenze”, un libro che, a mio avviso, cambia la vita di chi lo legge. Secondo Lipton, l’ambiente nel quale viviamo fino ai 7 anni di età è fondamentale nel determinare il futuro della nostra vita. Nei primi 7 anni, infatti, la nostra mente subconscia, che è quella che assimila in modo automatico e ripete pedissequamente ciò che impara, registra tutti i fattori ambientali presenti nel contesto abitativo in cui è immersa.Per fattori ambientali intendo proprio quei fattori sui quali ci siamo focalizzati poco fa, soprattutto quelli intangibili. Le parole che abbiamo ascoltato, le emozioni che abbiamo provato, le abitudini che abbiamo acquisito, ma anche l’atmosfera fisica dell’ambiente, l’effetto di alcune luci, delle forme e dei colori, sono diventati tutti modelli mentali cristallizzati nella nostra mente subconscia che, essendo totalmente abitudinaria, semplicemente ripete ciò che impara, e dunque plasma la nostra vita seguendo le regole che ha acquisito in quei primi delicati 7 anni.A questo punto, se dovessimo dare una risposta alla domanda iniziale – fino a che punto il contesto abitativo natale può aver condizionato la nostra vita attuale? – sappiamo di dover rispondere, con Lipton, che la condiziona in modo assoluto.
Nel senso che, ancora oggi, stiamo ripercorrendo quegli schemi mentali che abbiamo acquisito, quasi in uno stato ipnotico, da piccoli.
Per esempio, se abbiamo continue difficoltà relazionali, oppure lavorative, o legate all’autostima o al denaro, la ragione più profonda dovrebbe essere ricercata proprio in quelle regole e credenze che a livello subconscio abbiamo registrato durante i primi anni di vita.Queste regole hanno un impatto sia sulla nostra vita di tutti i giorni, sia, come sostiene Lipton, sulla nostra genetica.
L’influenza del contesto abitativo dopo l’infanzia
Potrebbero sorgere naturali, a questo punto, due domande: Il contesto abitativo nel quale viviamo ora può avere lo stesso potere di quello in cui ho abitato i primi 7 anni di vita? Posso, cioè, uscire dalle mie solite dinamiche modificando il mio contesto abitativo “adulto”?La risposta è sì. Per farlo è però fondamentale lavorare sia sulla parte personale interiore (ad esempio sulle nostre credenze inconsce), sia sulla parte esteriore e tangibile (quale può essere la nostra casa).Per quanto riguarda la parte interiore, la buona notizia è che, se abbiamo acquisito regole limitanti, oggi esistono metodologie molto sicure, veloci ed efficaci per riprogrammare la nostra mente subconscia verso ciò che riteniamo essere più funzionale per la nostra piena autorealizzazione e felicità. Una di queste si chiama PSYCH-K®.Relativamente alla casa (ad esempio quella in cui viviamo oggi), possiamo invece dire che essa può facilitare o ostacolare in modo sostanziale il nostro processo di crescita, di evoluzione e di liberazione dalle convinzioni acquisite nell’ambiente domestico natale. Per fare in modo che l’ambiente possa facilitare la nostra positiva trasformazione, occorre fare un salto evolutivo e cominciare a viverla in modo completamente nuovo. Occorre aprirsi all’idea che oltre alla parte tangibile e materica ne esistano altre, invisibili e intangibili, che possono interagire con noi in modo positivo, aiutandoci ad evolvere come persone per raggiungere gli obiettivi che abbiamo più a cuore (stabilità, sicurezza, pace, vitalità). La casa, come qualsiasi altro ambiente, se progettata, costruita e vissuta in modo evoluto può essere profondamente terapeutica, diventando una vera e propria fonte di benessere interiore. Su questo fronte si sta aprendo una strada interessante nel mondo dell’abitare, con l’obiettivo di progettare e costruire ambienti più evolutivi e positivi per l’uomo, attraverso la creazione di un ecosistema di professionisti, imprese ed aziende interessate a portare maggiore consapevolezza su queste tematiche.Questo profondo legame tra ambiente/contesto abitativo, salute/benessere e autorealizzazione, è a mio avviso la culla di una visione più evoluta del rapporto uomo-ambiente, dove tutto è visto in senso olistico e in un’ottica di profonda e costante interconnessione.Ecco perché, se vogliamo stare meglio con noi stessi e gli altri, non possiamo fare a meno di vivere in un ambiente che ci supporti e ci nutra, da tutti i punti di vista.
Caterina Locati
Architetto